L'Arena di Verona del 22 luglio 22
«Si vede tanto Goldoni... Noi l’abbiamo aggiornato»
Niente abiti del Settecento o musiche di Vivaldi per "La finta ammalata" che il gruppo La Maschera di William Bertozzo porterà in scena al chiostro di Sant'Eufemia da oggi al 27 luglio. La vicenda goldoniana della giovane ammalata, incurabile davanti agli esimi dottori, perché la causa del suo male è solo l'amore per un giovane medico, sarà ambientata due secoli dopo, nel Veneto degli anni '30 e '40.
«Se ne vede tanto di Goldoni», racconta Bertozzo, il regista del gruppo, «noi volevamo scommettere su qualcosa di diverso e investire maggiormente nella ricerca». Così, mantenendo rigorosamente la scansione in tre atti (spesso ridotta a due) le battute del copione, anch'esso conservato intatto, saranno pronunciate in un contesto musicale e scenografico di sessant'anni fa.
«Ho cercato di mantenere anche le maschere per i personaggi goldoniani meno veri», continua Bertozzo. «Troveremo un Pantalone con vestito nero e sotto giubbotto rosso, idem per Balanzone con tanto di panciotto. Anche lo speziale Agapito l'ho vestito all'orientale. Era un personaggio che probabilmente accentrava una satira sui farmacisti (l'originario titolo era appunto: "Lo speziale ossia la finta malata"), nel mio allestimento ha il vizio di leggere i foglietti, i giornali dell'epoca».
Se le musiche curate dallo stesso Bertozzo ci faranno riascoltare l'originaria "Un'ora sola ti vorrei" di Nuccia Natali o Elsa Merlini o il Trio Lescano, il testo parlerà di medici criticando gli impostori ed esaltando «chi invece tiene alta la professione».
«Questo copione», spiega Bertozzo, «è una ripresa di un precedente testo molieriano, una satira tipica dell'autore francese. Anche Goldoni voleva fare una critica, ma nel suo testo la profondità e l'analisi psicologica è maggiore: cioè la ragazza si strugge veramente d'amore per il giovane medico, anch'esso reale».
Valore del testo e poi un pizzico di fantasia e creatività come risorsa che Bertozzo chiede agli amatoriali: «Non ci saranno scene, l'interno, la casa di Pantalone sarà sopra il palcoscenico: una piazzetta veneziana in cui tutto è lasciato ai giochi di luce».
Simone Azzoni.
La critica:
L'Arena di Verona del 22 luglio 22
Direbbe Goldoni: lavoro onesto e pulito
Un lavoro onesto e pulito, avrebbe probabilmente detto Goldoni sull'allestimento di questa sua "Finta Ammalata" in scena al S. Eufemia con La Maschera. Onesto per il testo coscienziosamente rispettato, l'ormai desueta divisione in tre atti e la ferma volontà di rivelare ed evidenziare comunque l'instabilità della riforma goldoniana nel pieno del suo passaggio dalla maschera al carattere, al realismo del personaggio.
E poi pulita, elegante diremmo noi, quasi raffinata, di certo molto accurata e puntuale nell'attenzione ai dettagli e all'armonia dell'insieme.
La regia di William Bertozzo ha trasportato la vicenda della giovane malata d'amore, incurabile al cospetto di professoroni e speziali perché ferita d'affetto per un giovane medico onesto, in una ambientazione anni '40. Ambientazione evocativa a dire il vero, giacché la scena, una signorile monocromia marrone, s'articola tra un soprelevato cantuccio per lo speziale e una pedana rialzata sul palco (anch'esso arricchito solo di un tavolino laterale) per la casa di Pantalone, il padre della giovane malata. Sfruttando così l'atmosfera retrò di questo chiostro, tra praticabili e assito s'incontra qualche sedia e una radio al centro del tavolato: pro memoria per le orecchiabili canzoni d'epoca che scorrono ad aprir le scene. L'atmosfera d'antiquariato si completa negli abiti degli attori, un puntuale e appropriato gioco di bianco e nero ornato appunto dai retaggi stilistici della commedia dell'arte con le maschere date a quei ruoli ancora da riformare.
Tra queste i medici naturalmente, quelli dal nome programmatico (Malfatti, Buonatesta?) su cui la satira di molieriana memoria non risparmia il latinorum inganna-ignoranti, medicine roboanti di sal di tartaro o cordiali da far pagare a suon di zecchini e paoli. A fronte gli onesti, che della loro integrità ne han fatto addirittura cognome. Su costoro il verbo goldoniano stempera l'acrimonia del collega francese. Ma gli spazi espressivi di questo testo sono davvero pochi e anche i consulti di professoroni al capezzale della presunta malata non offrono grandi trampolini per incisive caratterizzazioni. Per punzecchiare il ritmo e per dare un po' di piglio e vivacità non resta che assecondare qualche spunto caratteriale.
Bertozzo (anche nella parte del candido dottor Onesti) costruisce allora la figura di Agapito, un lezioso Cataldo Russo, caramelloso speziale e sdolcinato lettore di foglietti orientali. Una macchietta nasce anche da Eddi Rizzati, Attilio De Checchi e Francesca Spezie, medici ignoranti e incanta ingenui. Il fuoco dell'azione, che con le luci si sposta tra soprelevato e palco, lascia alla sola recitazione e quindi alla difficoltà della parola anche il garzone Matteo Picotti, il bonario Pantalone di Claudio Gallio, la domestica Colombina di Teresa Zanella, l'indiscreta Beatrice di Mara Fedrigoli e la languida Rosaura di Mariacristina Filippin, applauditi tutti da un numeroso pubblico.
Si replica fino al 27 luglio.
Simone Azzoni.